HOME | CHI SIAMO | CONTATTI | MAPPA SITO | LINKS
HOME | CHI SIAMO | DIFESA LEGALE | INFORTUNI | PER LA FAMIGLIA
AREA CONVENZIONI | AREA PARTNERS | DIVENTA NOSTRO PARTNER

La recente giurisprudenza sul trattamento medico-chirurgico
Alfonso Marra (Giudice)
 
La Corte di Assise di Firenze nella sentenza nr. 13 del 18 ottobre 1990, confermata poi dalla Cassazione - sentenza nr. 5639 del 13/5/92 - ha riconosciuto la responsabilità penale per il reato di omicidio preterin-tenzionale di un chirurgo che effettuò un intervento chirurgico di diversa e maggiore entità rispetto a quello per il quale la paziente aveva prestato il consenso informato, praticando, cioè, un'amputazione addominoperineale del retto, anziché l'asportazione transanale, com'era stato prospettato all'ammalata.

La Corte, in tale sentenza, ha testualmente affermato:
"...L'attività medico - chirurgica è sicuramente da considerare di altissimo valore sociale e, dunque, preziosa, insostituibile e meritoria. Essa deve svolgersi nel rispetto di alcuni fondamentali principi al di là dei quali essa sconfina nell'illecito, che è poi, nella specie, le-sione di alcuni beni fondamentali dell'individuo, quali il diritto alla salute e all'integrità fisica, trasformandosi così  in aberrazione, sopruso e violenza".

Tali beni trovano proprio nella Carta Costituzionale la massima consacrazione e tutela, laddove essa stabilisce l'inviolabilità della libertà (articolo I 3, l° comma), il diritto alla salute e il diritto   di  non subire  trattamenti sanitari obbligatori al di fuori dei casi previsti specificamente dalla legge (articolo 32, I° e II° comma). In questo ambito deve inquadrarsi il disposto dell'art. 5 del Codice Civile regolante gli atti di disposizione del proprio corpo, che pur se collocato in un contesto normativo privatistico, deve nondimeno considerarsi espressione di un principio generale dell'ordinamento e avente dunque valore di norma imperativa e inderogabile.

Prosegue quindi la Corte affermando: "Orbene la Corte di Assise, ben consapevole delle dispute giurisprudenziali e soprattutto
dottrinali sorte e tuttora in atto circa il fondamento del-la liceità dell'attività medico chirurgica, ritiene che non si debba e non si possa prendere posizione per l'una o per l'altra tesi, non solo perché ciò non è strettamente necessario ai fini della presente decisione, ma anche perché in tal modo si verrebbero a creare, sia pure indirettamente per il medico e per il chirurgo in particolare, possibili condizionamenti e remore psicologiche all'esercizio della propria attività in dipendenza del variare dei sempre opinabili i indirizzi giurisprudenziali e dottrinali con danno, in ultima analisi, proprio di coloro che si vorrebbe tutelare e cioè gli ammalati".

E ancora: "È sufficiente constatare che dal contesto delle norme sinora richiamate, soprattutto di quelle di rango primario contenute nella Carta Costituzionale, emerge in maniera evidente un principio basilare al quale l'attività del medico deve unificarsi e comunque sottomettersi: il consenso del malato. Il che corrisponde ad un principio personalistico di rispetto della libertà individuale e o una configurazione del rapporto medico paziente che individua nella figura del paziente un soggetto portatore di diritti e quindi come uomo - persona, uomo - valore e non come uomo - cosa, uomo - mezzo, soggetto a strumentalizzazioni anche odiose per fini che sono stati spesso ammantati di false coperture di progresso scientifico e d'utilità collettiva. Giustamente viene ricordato come i principi costituzionali in materia abbiano trovato concreta appellazione in Leggi ordinarie - quali la nr. 180/1978, in materia di Istituti Psichiatrici e la nr. 833/1978 istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale
- che hanno posto il consenso del paziente quale elemento centrale del sistema".

L'importanza delle affermazioni della Corte di Assise in tema di fondamento della liceità del trattamento medico chirurgico è veramente notevole.

La Corte poi, sorvolando sulle dispute dottrinali sulle varie teorie ha fatto delle puntualizzazioni veramente innovative.

E segnatamente ha collocato l'articolo 5 del Codice Civile ("Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente dell'integrità fisica e    Così si capisce l'interesse quando siano altrimenti contrari all'ordine pubblico e al buon costume") nell'ambito degli articoli 13 e 32 della Costituzione puntualizzando che quest'ultimo (art. 32) è una norma di rango primario che, tutelando la salute come fondamentale diritto dell'individuo, pone un principio all'interno del quale, e solo all'interno del quale, si colloca il disposto del articolo 5 del Codice Civile. Ciò comporta che il limite della diminuzione permanente dell'integrità fisica in relazione agli atti (li disposizione del proprio corpo è necessariamente "inoperante" in caso di atti (medico chirurgici) volti alla tutela della salute della persona ovviamente consenziente (in tal senso Daniele Rodriguez, "Rivista italiana di medicina legale", 1991, fascicolo IV, pag. 3).
La tesi seguita dalla Corte trova un autorevole precedente in dottrina. Afferma infatti il Riz: "L'articolo 5 del Codice Civile va esaminato dal punto di vista del dettato costituzionale (art. 32 Cost.), per il quale ogni atto deve trovare un suo limite insuperabile nella tutela della salute individuale e collettiva che è garantita attivamente dalla Repubblica e deve essere osservata dal singolo quale individuo e quale membro della collettività.
dello Stato a salvaguardare
la salute della persona e con essa la sua integrità fisica e la sua vita e si capisce anche il diritto - dovere del singolo di conservare la propria integrità fisica per la società evitando di compiere atti che siano in contrasto con tali principi  (in tal senso Riz R., "Il consenso dell'avente diritto", Caedani, Padova 1979, pag. 96).
Sempre in quest'ottica un altro Autore (Fortuna) ha ritenuto legittime le pratiche di sterilizzazione, affermando: "Nell'ambito della valutazione della portata normativa dell'articolo 5 del Codice Civile, deve quindi tenersi conto anche della fondamentale presa di posizione della Corte Costituzionale anche a prescindere da ogni discussione circa il carattere precettivo o programmatico della disposizione. L'indivi-duo ha un diritto soggettivo alla tutela della salute (che la collettività ha interesse a proteggere).
L'ordine pubblico non può impedire e anzi deve permettere e favorire quegli atti di disposizione che implicano una diminuzione permanente dell'integrità fisica ogni volta che, sia pure al di fuori dello stato di necessità, il sacrificio dell'integrità sia reso necessario o sia altrimenti bilanciato dai miglioramenti delle condizioni di organi del corpo diversi da quello sacrificato che siano, però, importanti secondo le obiettive valutazioni della scienza medica in riferimento al bene supremo della salute" (in tal senso Fortuna E. "Sterilizzazione per evitare il pericolo di vita per eventuali future gravidanze", Giurisprudenza di merito, parte 2, pag.273,1976).

Intervento chirurgico complesso con pluralità di fasi:
necessario il consenso informato del paziente per ogni singola fase quando essa assume una propria autonomia gestionale

L'importante principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione 3a Civile, nella sentenza del 15/1/97 nr. 364.

L'anestesia della giovane Signora.
Questi i fatti. Una giovane Signora era stata sottoposta ad un intervento chirurgico presso l'Ospedale di Ancona ed a seguito di esso aveva riportato un'invalidità permanente. Sosteneva la Signora che il tutto era derivato dall'errato intervento di anestesia mediante puntura lombare. Chiedeva quindi il risarcimento dei danni precisando che l'evento lesivo di cui essa era rimasta vittima era conseguente al tipo di anestesia prescelto dall'équipe sotto il profilo sia della mancanza di consenso informato, rispetto al tipo di intervento, sia al comportamento colposo dell'anestesista
Tribunale, di Ancona dava torto alla giovane donna escludendo la colpa professionale dell'anestesista nella verificazione dell'evento lesivo e sostenendo che lo stesso fu dovuto ad "imprevedibile reattività meningea della paziente". Quanto poi all'altro rilievo della mancanza del consenso della paziente all'anestesia con puntura lombare, il Tribunale affermava che "il consenso" doveva ritenersi "implicitamente richiesto e prestato dalla paziente in relazione all'intera operazione chirurgica in quanto l'anestesia effettuata mediante puntura lombare si presentava in astratto la più idonea rispetto al tipo di intervento chirurgico praticato ed eseguito".
La Corte di Appello di Ancona confermava in ogni suo punto la sentenza del Tribunale.
La Corte di Cassazione invece ribaltava la decisione ritenendo fondata la richiesta di risarcimento danni avanzata dalla donna sotto l'aspetto della violazione dell'obbligo del consenso informato al tipo di anestesia.
Nella motivazione la Corte rileva che la formazione del consenso presuppone una specifica informazione su quanto ne forma oggetto che non, può non provenire dallo stesso sanitario cui è richiesta la prestazione.
Nell'ambito di interventi chirurgici complessi il (dovere di informazione concerne la portata dell'intervento, le inevitabili difficoltà, gli effetti conseguibili e gli eventuali rischi si da porre il paziente in condizioni di decidere su l'opportunità di procedervi o di ometterlo attraverso il bilanciamento dei vantaggi e dei rischi.

L'obbligo si estende ai rischi prevedibili e non anche agli esiti anomali al limite del fortuito che non assumono rilievo secondo il principio dell'"idi quod plerunque accidit" non potendosi disconoscere che l'operatore.

Il sanitario deve contemperare l'esigenza di informazione con la necessità di evitare che il paziente per remotissima eventualità eviti di sottoporsi anche ad un banale intervento. Assume rilievo in proposito l'importanza degli interessi e dei beni messi in gioco, non potendosi consentire tuttavia, in forza di un mero calcolo statistico, che il paziente non venga edotto sui rischi anche ridotti che incidano gravemente sulle sue condizioni fisiche, o addirittura sul bene supremo della vita.
L'obbligo di informazione inoltre si estende ai rischi specifici rispetto a determinate scelte alternative, in modo che il paziente con l'ausilio tecnico scientifico del sanitario possa determinarsi verso l'una o l'altra alle scelte possibili, attraverso una cosciente valutazione dei rischi relativi e dei corrispondenti vantaggi.
Prosegue ancora la Cassazione osservando che la maggior parte degli interventi chirurgici complessi vengono fatti in équipe e presentano nelle varie fasi in cui si svolgono rischi specifici e distinti per ogni singola fase. Quando poi ogni fase assume una propria autonomia gestionale e dia luogo essa stessa a scelte operative diversificate, ognuna delle quali presenti rischi diversi, l'obbligo di informazione si estende alla singola fase e ai rispettivi rischi.
Applicando tali principi al caso concreto, prosegue la Cassazione, se è vero che la richiesta di uno specifico intervento chirurgico avanzata dal paziente può farne presumere il consenso a tutte le operazioni preparatorie e successive che vi sono connesse e in particolare al trattamento anestesiologico, allorché più siano come nel momento attuale le tecniche di esecuzione di quest'ultimo e le stesse comportino rischi diversi, è dovere del sanitario - cui pur spettano le scelte operative - informarlo dei rischi e dei vantaggi specifici ed operare la scelta in relazione alla assenzione che il paziente ne intenda compiere.
Per quanto poi concerne l'anestesia epidurale, essa -secondo la Corte - comportava la adozione dì una "fine tecnica anestesiologica" e la ricerca dello spazio epidurale poteva risultare in alcuni casi particolarmente laboriosa con possibilità di penetrazione nello spazio sottoaracnoideo sì da esporre a rischi maggiori il paziente.
Da ciò la necessità di uno specifico consenso, previa una completa informazione in ordine ai rischi. In altri termini la scelta di una delle tecniche metodologiche anestetiche comportando diversi fattori di rischio, avrebbe dovuto ottenere un valido e consapevole consenso della paziente.
Il non averlo fatto integra una violazione delle regole del nostro ordinamento, sancite dalla Costituzione: dall'art. 13 (la libertà della persona è inviolabile), dall'art. 32 Cost. (obbligatorietà del consenso nelle prestazioni sanitarie) e nonché dall'art. 1218 del Codice Civile secondo il quale nel concludere un contratto (e nella specie trattasi di un contratto di opera professionale) bisogna comportarsi secondo buona fede. Ciò imponeva dei doveri di informazione a carico del medico, integrativi rispetto all'obbligo primario di eseguire correttamente la prestazione professionale richiesta, indispensabili per i, adempimento della prestazione professionale in senso proprio, sia in relazione all'intervento chirurgico per così dire principale, sia anche su tutte le altre operazioni connesse dotate di un minimo di autonomia gestionale e professionale con propri rischi e propri vantaggi. E non si può negare che l'anestesia rientra in questo tipo di interventi.
Pertanto, conclude la Cassazione, sussiste la responsabilità colposa del sanitario anestesista che ha effettuato la pratica preoperatoria senza una completa informazione e quindi in assenza del consenso informato del paziente.

(Milano 29-10-1997)
Alfonso MARRA Giudice

(da Bollettino Ordine dei Medici della Provincia di Milano Commissione di studio "RESPONSABILITA' PROFESSIONALE")

 

ASSIMEDICI Srl
20123 Milano, Viale di Porta Vercellina 20 - Tel. (+39) 02.91.98.33.11 - Fax (+39) 02.48.00.94.47
39100 Bolzano, Piazza Domenicani 13 - Tel. (+39) 0471.42.67.11 - Fax (+39) 0471.17.22.034
Recapiti Roma: Tel. (+39) 06.98.35.71.16 - Fax (+39) 06.23.32.43.357
Recapiti London (UK): Tel. (+44) 20.35.29.61.35 - Fax (+44) 20.35.29.10.29
www.assimedici.it E-mail info@assimedici.it
Partita Iva e Codice Fiscale 07626850965 - Iscrizione RUI B000401406 del 12.12.2011 - Capitale Sociale 50.000,00 i.v.